TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA 
                          (Sezione civile) 
 
    Riunita in Camera di consiglio nelle persone dei signori: 
        Dott.ssa Anna Rombola' - Presidente; 
        Dott. Giuseppe Cardona - Giudice; 
        Dott.ssa Emanuela Rizzi - Giudice relatore, 
ha pronunciato la seguente ordinanza  a  scioglimento  della  riserva
assunta a seguito della discussione delle parti, nella causa iscritta
al numero di ruolo generale sopra riportato; 
    letti gli atti e i documenti di causa; 
 
                             Osserva che 
 
    con  ricorso  depositato  il  2  aprile  2012  la  Curatela   del
Fallimento  Etty  Mancini  Moda  srl   ha   chiesto   di   dichiarare
l'estensione del fallimento ex art 147, co. 5, l.f. nei confronti  di
E.T. Moda Fashion srl (gia' E.T. Moda Fashion sas di Rito  Giuseppe),
Rito  Giuseppe  persona  fisica  e  impresa  individuale,   deducendo
l'esistenza di una societa' di  fatto  tra  tali  soggetti,  la  Etty
Mancini Moda srl e la Kalos srl (gia' dichiarata fallita con sentenza
n. 5/2011 del Tribunale di Vibo Valentia); 
    in particolare, a sostegno della  propria  domanda,  la  Curatela
ricorrente ha dedotto che la  societa'  fallita  e  resistenti  hanno
svolto la loro attivita' commerciale nel medesimo locale,  utilizzato
il medesimo data base contenente i dati di clienti  e  fornitori,  lo
stesso POS, si sono avvalsi dei medesimi dipendenti e  che  tra  tali
soggetti vi sono stati movimenti irregolari di denaro privi di idonea
giustificazione commerciale con conseguente confusione contabile  tra
gli stessi; 
    con memoria del 29 maggio 2012 si costituivano E.T. Moda  Fashion
srl e Rito Giuseppe in proprio e in qualita' di legale rappresentante
dell'omonima impresa individuale,  eccependo  l'inammissibilita'  del
ricorso per impossibilita' di estendere il fallimento  alla  societa'
di fatto quando il fallimento originario riguardi, come nel  caso  di
specie, non un imprenditore individuale come previsto  dall'art.  147
l.f.,  ma  una   societa'   a   responsabilita'   limitata,   nonche'
l'infondatezza delle deduzioni avversarie; 
    con sentenza n. 21/2012 il Tribunale di Vibo Valentia  dichiarava
il fallimento di E.T. Moda Fashion srl, Rito Giuseppe persona  fisica
e impresa individuale; 
    avverso tale sentenza proponevano reclamo i  soggetti  dichiarati
falliti; 
    con sentenza n.  1722/2013  la  Corte  di  Appello  di  Catanzaro
rilevava d'ufficio la mancata citazione, nella fase  prefallimentare,
dell'originario creditore istante il fallimento  della  Etty  Mancini
Moda  srl  e,  pertanto,  dichiarava  la  nullita'   della   sentenza
impugnata; 
    riassunto il giudizio avanti  questo  Tribunale  e  integrato  il
contraddittorio  nei  confronti  del  creditore  istante,  le   parti
insistevano per l'accoglimento delle rispettive domande ed eccezioni; 
    l'art.  147,  co.  4  e  5  l.f  stabilisce  che  «se   dopo   la
dichiarazione di fallimento della  societa'  risulta  l'esistenza  di
altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del
curatore,  di  un  creditore,  di  un  socio  fallito,  dichiara   il
fallimento dei medesimi. Allo stesso modo si procede, qualora dopo la
dichiarazione di fallimento di un  imprenditore  individuale  risulti
che l'impresa e' riferibile ad una societa'  di  cui  il  fallito  e'
socio illimitatamente responsabile»; 
    cio'  posto,  si  ipotizza  un  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza sancito dall'art. 3, co 1 Cost. sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento tra  situazioni  uguali  in  quanto  appare
irragionevole   discriminare   l'ipotesi   in   cui    l'imprenditore
individuale dichiarato fallito risulti socio di una societa' occulta,
con la possibilita' di dichiarare il fallimento di essa (anche quando
si tratti di una societa'  di  capitali,  posto  che  il  legislatore
alcuna  distinzione  opera  sul  punto),  dall'ipotesi  in  cui   sia
dichiarato  prima  il  fallimento  di  una  societa'  (di  capitali),
rispetto alla quale emerga, in un secondo momento, che essa era parte
di una societa' occulta, unitamente ad imprenditore  individuale  e/o
collettivo, a sua volta, quest'ultimo, di natura personale ovvero  di
societa' di capitali; 
    si ipotizza, altresi', un contrasto con  l'art.  24,  co  1  Cost
attesa  l'ingiustificata  compressione  del  diritto  di  difesa  dei
creditori della societa' di fatto non assoggettabile a fallimento  in
estensione; 
    si e' discusso a lungo nella giurisprudenza di merito  in  ordine
alla possibilita' di estendere il fallimento a una societa' di  fatto
costituita da societa' di capitali. Secondo  un  primo  orientamento,
l'estensione  del  fallimento  sarebbe  possibile   nei   soli   casi
legislativamente previsti (cfr. Corte di  Appello  Napoli,  5  giugno
2009, Corte di Appello Bologna, 11  giugno  2008,  Corte  di  Appello
Torino 30 luglio 2007, Tribunale Torino 4 aprile 2007). Secondo altro
orientamento  deve,  invece,   riconoscersi   l'assoggettabilita'   a
fallimento di una societa' di fatto partecipata da altre societa'  di
capitali nei casi in cui venga accertata,  attraverso  una  serie  di
elementi indiziati,  l'esistenza  di  un'unica  compagine  societaria
(cfr. Tribunale Nola 29 maggio  2013;  Tribunale  Santa  Maria  Capua
Vetere 18 novembre 2010; Tribunale Prato 15 ottobre  2010;  Tribunale
Forli' 9 febbraio 2008). In particolare, i sostenitori di  tale  tesi
ritengono che per ragioni di coerenza  sistematica  l'art.  147  l.f.
vada interpretato in modo estensivo ovvero analogico; 
    la questione appare  non  manifestamente  infondata,  atteso  che
l'interpretazione  estensiva   o   analogica   dell'art.   147   l.f.
rappresenta  l'unica  possibilita'  di  rendere  la  medesima   norma
conforme ai suddetti principi costituzionali. Tuttavia, il ricorso  a
tale attivita' interpretativa e'  precluso  dalla  specialita'  della
norma de qua rispetto all'art.  1  l.f.  Pertanto,  la  natura  della
citata disposizione  normativa  impedisce  di  discostarsi  dal  dato
letterale e di rimediare alla incostituzionalita' della stessa in via
interpretativa; 
    la questione appare, altresi', rilevante nel caso  di  specie  in
quanto il presente giudizio, in  sede  prefallimentare,  verte  sulla
richiesta  di  estensione  del   fallimento   di   una   societa'   a
responsabilita'  limitata  ad  altra   societa'   a   responsabilita'
limitata, ad un'impresa individuale e  ad  una  persona  fisica,  sul
presupposto che tra tali soggetti esista un'unica societa' di  fatto.
Pertanto, questo Collegio potrebbe ritenere  ammissibile  il  ricorso
presentato dalla Curatela se  la  norma  de  quo  venisse  dichiarata
incostituzionale nella parte in cui non prevede -  nel  caso  in  cui
risulti, dopo la dichiarazione  di  fallimento  di  una  societa'  di
capitali, che l'impresa e' riferibile ad una societa' di fatto di cui
la societa' fallita e' a  sua  volta  socia  -  la  possibilita'  di'
dichiarare il fallimento dell'intera societa' occulta; 
    la rilevanza  della  questione  non  e',  peraltro,  esclusa  dal
mancato rispetto delle formalita' prescritte dall'art. 2361 co 2  cc.
in quanto una cosa e' la irregolarita' del fenomeno sotto il  profilo
della disciplina codicistica, altra cosa e'  la  esistenza  in  fatto
della societa', pur irregolare, costituita da societa'  di  capitali.
Invero, le conseguenze del mancato rispetto delle condizioni previste
dalla norma citata non possono che limitarsi ai rapporti interni,  ai
fini del riconoscimento della responsabilita' degli amministratori, e
cio' in  considerazione  dell'art.  2384  c.c.,  che  qualifica  come
«generale» il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori
ed esclude l'opponibilita' ai terzi delle limitazioni ai poteri degli
amministratori, derivanti dallo statuto  e  da  una  decisione  degli
organi competenti, ancorche' pubblicate. Con la conseguenza  che,  se
l'esigenza di tutelare i terzi (alla quale si ispira la norma citata)
deve prevalere rispetto  a  quella  di  tutelare  i  soci  anche  con
riferimento ad atti di gestione che eccedono l'oggetto sociale o  che
non sono contenuti entro i limiti imposti  dallo  statuto  o  da  una
delibera, ancorche' risultanti dai pubblici registri, e' da ritenersi
altrettanto irrilevante nei confronti dei terzi il  mancato  rispetto
delle precondizioni dell'agire degli amministratori  con  riferimento
all'assunzione di partecipazione  ad  una  societa'  di  persone  che
configura un tipico atto di gestione esterna. D'altro canto se  cosi'
non fosse si priverebbe di significato sia l'art. 2384 c.c., volto  a
tutelare i terzi rispetto ai soci, sia lo stesso  art.  2361,  co.  2
c.c.  che  risulterebbe  completamente  disancorato   dalla   realta'
effettiva delle dinamiche sociali  finendo  per  negare  la  concreta
possibilita' di costituire in fatto un'impresa collettiva partecipata
da societa' di capitali. Invero, la configurabilita' di una  societa'
di fatto, proprio  perche'  di  fatto,  prescinde  dal  rispetto  dei
requisiti formali, in quanto cio'  che  rileva  e'  il  comportamento
tenuto in concreto dai soci nell'esercizio di un'attivita'  economica
che presenti i requisiti di cui agli articoli 2082 e 2247 c.c.; 
    dalle considerazioni svolte si evince, dunque, un duplice profilo
di contrasto  con  la  Costituzione  (la  lesione  del  principio  di
uguaglianza sancito dall'art. 3 co 1 Cost.  sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento tra situazioni  uguali  e  del  diritto  di
difesa sancito dall'art. 24 co 1 Cost.), che induce questo  Tribunale
a sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale, in
quanto ritenuta non manifestamente infondata e rilevante;